Quando il ritardo diagnostico e terapeutico del volvolo intestinale determina una prognosi infausta

Il caso del sig.ra F.

Una mattina, la signora F., donna di 74 anni, fa accesso, tramite 118, al pronto soccorso per intenso dolore addominale associato a vomito fecaloide, insorti nel corso della nottata con un quadro di voluminoso laparocele mediano intasato. In anamnesi risulta intervento di bypass bilio pancreatico eseguito per obesità. All’esame obiettivo si evidenzia una massa addominale mediana, dura e dolente alla palpazione, mentre alla RX addome si reperta unicamente una coprostasi in assenza di sovradistensione meteorica di anse entero-coliche e di immagini di livelli. Al fine di meglio comprendere il quadro clinico, anche per la dolorosa sintomatologia che la sig.ra F. continua a lamentare, viene sottoposta a consulenza chirurgica e conseguente richiesta di esame TC addome con mdc, fino ad evidenziare un’importante distensione fluida duodeno-digiunale con torsione del Treitz, compatibile con torsione assiale in corrispondenza della seconda porzione duodenale. Nel frattempo, la sig.ra F., sempre più sofferente e con insopportabili dolori addominali, necessita della somministrazione di morfina. Nel pomeriggio, stremata, ha un grave episodio di ipotensione associata a tachicardia e ipossiemia. Solo in serata, dopo nuova consulenza chirurgica, si dispone finalmente il ricovero in reparto di Chirurgia Generale con la diagnosi di torsione duodenale in pregresso bypass bilio-pancreatico e si dispone terapia farmacologica programmata, però, per il giorno successivo. Durante la notte, la povera sig.ra F. ha un peggioramento delle condizioni cliniche reso evidente dall’intensificazione del dolore addominale e dalla successiva impossibilità a rilevare i parametri vitali. E’ solo a questo punto che viene posta indicazione ad intervento chirurgico d’urgenza. Una volta giunta in sala operatoria, la sig.ra F. subisce un arresto cardiaco ed i rianimatori procedono ad un massaggio cardiaco con ripresa del battito. Con i parametri appena ai limiti della norma, il chirurgo inizia il suo operato e una volta aperto il cavo addominale, oltre all’oramai noto voluminoso laparocele, riscontra un quadro aderenziale severo. Contrariamente a quanto descritto all’esame TC, il tratto duodenale appare regolare, ma con evidente e vasta perforazione della quarta porzione duodenale su parete necrotica, perforazione che non era stata osservata all’esame TC, e per la quale si procede a duodenoraffia. Altra lesione di continuo, seppur probabilmente di minori dimensioni, viene descritta e suturata in sede medioileale. L‘intervento termina con una laparostomia e con diagnosi finale di perforazione in necrosi della terza porzione del duodeno ed ischemia intestinale su base vascolare. Purtroppo, nonostante il disperato tentativo chirurgico, il quadro clinico post-operatorio della sig.ra F. è caratterizzato da una compromissione multiorgano su base settica, con decesso constatato nella stessa mattina. Il riscontro autoptico eseguito su volontà dei sanitari evidenzia un quadro di diffuso infarto intestinale.

I consulenti Dignità al Malato, hanno decretato che la TC andava eseguita subito all’ingresso in pronto soccorso ed una volta fatta diagnosi di volvolo in mattinata, la sig.ra F. avrebbe dovuto essere operata nell’immediato. Oltretutto, la scelta di procedere ad un trattamento conservativo non è ulteriormente condivisibile anche per la situazione anatomica del sistema digestivo della signora, che era tale da rendere inefficace la gestione medica dell’occlusione di specie, poiché sia il posizionamento della sonda naso-gastrica e sia la somministrazione di mdc idrosolubile (Gastrografin) a scopo terapeutico, risultano del tutto inutili per motivi di neo-anatomia digestiva postchirurgica.

 

Importo liquidato agli eredi pari a 728.000,00 mila euro.

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