Quando infezioni nosocomiali e ritardo terapeutico determinano prima l’amputazione di una coscia e poi il decesso.

Il caso della sig. P.

Il sig. P., 73enne, dietro di indicazione del proprio chirurgo vascolare di fiducia ad eseguire accertamenti e cure, si ricovera presso il reparto di Chirurgia Vascolare. A seguito di esami strumentali quali TAC addome e ecocolor-doppler del flusso arterioso dell’aorta addominale, gli viene diagnosticato un aneurisma sacciforme dell’aorta addominale. Dopo tale reperto, viene sottoposto ad intervento di impianto percutaneo di endoprotesi aorto – bisiliaca in poliestere (EVAR). Purtroppo, dopo due giorni dall’intervento l’eco-color-doppler di controllo della regione inguinale evidenzia occlusione trombotica dell’arteria femorale superficiale prossimale dx con riabilitazione del 3° medio da circolo collaterale. Il giorno successivo, il sig. P. presenta secrezione muco-purulenta della ferita chirurgica in sede inguinale dx, che viene inizialmente trattata con la sola pulizia e disinfezione locale esterna. Dopo una settimana, come purtroppo si temeva, l’esame colturale della ferita chirurgica risulta positivo per Enterobacter cloacae-complex e Enterococcus faecalis multiresistenti. Intrapresa immediatamente la terapia antibiotica, la stessa viene poi sospesa dopo circa 10 giorni per dichiarata guarigione della ferita chirurgica. Fiducioso di aver superato il peggio, il sig. P., una volta a casa, cerca di riacquistare le forze e di ristabilirsi al meglio. Purtroppo, solo 4 giorni dopo le dimissioni, è costretto a fare acceso al pronto soccorso, stavolta di altro nosocomio, dove gli diagnosticano una probabile ostruzione della branca protesica dx, con rinvio a valutazione nella struttura di chirurgia vascolare ove aveva effettuato il trattamento chirurgico protesico. Preoccupato da tale ipotesi diagnostica, nello stesso giorno il sig. P. torna presso la struttura sanitaria dove aveva subito l’intervento e, ricoverato nuovamente presso il reparto di Medicina, viene sottoposto ad eco-color-doppler che evidenzia un flusso marcatamente demodulato a livello dell’a. femorale comune dx, assenza di flusso a livello dell’a. femorale superficiale dx e poplitea dx. Ma è l’AngioTC eseguita il giorno successivo che preoccupa seriamente i sanitari, in quanto evidenzia una dilatazione aneurismatica dell’aorta addominale sottorenale trattata con stent protesico il cui ramo destro appare trombizzato per tutto il decorso dell’a. iliaca comune; risulta, altresì, occlusa l’arteria femorale superficiale dx e la poplitea, mentre l’a. femorale profonda risulta pervia; infine, la sacca aneurismatica appare completamente esclusa e non sembra rifornirsi. Trasferito nell’immediatezza nel reparto di Chirurgia Vascolare, dopo 4 giorni viene sottoposto a nuovo intervento di trombo-endoarteriectomia (TEA) dell’a. femorale comune e profundoplastica a destra. Purtroppo, dopo 5 giorni, il tampone della ferita inguinale destra dà, all’esame colturale, riscontro positivo per Enterococcum faecium e per Escherichia Coli. Il calvario del sig. P. sembra essere solo agli inizi, perché dopo 4 giorni si evidenzia deiscenza della ferita inguinale destra, secernente muco-pus e arto inferiore destro fortemente dolente al III inferiore. Dopo 6 giorni, l’arto inferiore si presenta freddo e pallido e l’esame colturale della ferita risulta ancora positivo per Enterococcum faecium ed Escherichia Coli. Nonostante costanti rialzi febbrili, dopo circa un mese fa rientro a casa. Ma la lontananza dall’ospedale dura solo 9 giorni, allorquando il sig. P. fa nuovo accesso al pronto soccorso del medesimo nosocomio ed immediatamente ricoverato con diagnosi di lesioni di tipo ischemiche al ginocchio dx e gamba dx superficiali, lesione da pressione tallone piede dx, necrosi alluce del piede dx. Nonostante, secondo il parere del chirurgo vascolare, tale situazione richiedesse l’amputazione dell’arto inferiore destro a livello della coscia, il sig. P. viene dimesso dopo circa due settimane con sola terapia farmacologica e nessun’altra indicazione. Come altamente prevedibile, dopo 9 giorni il povero sig. P. fa nuovo accesso in ospedale in condizioni gravi, defedato, astenico, inappetente, con un quadro di leucocitosi neutrofila, anemia grave, ipotensione arteriosa, insomma a rischio vita. Purtroppo, viene inevitabilmente sottoposto ad amputazione della coscia dx. Dopo l’intervento e durante la degenza, le condizioni cliniche del sig. P. si aggravano ulteriormente, con progressiva anemizzazione, presenza di insufficienza respiratoria per BPCO riacutizzata; gli esami colturali su feci mostrano crescita di Candida albicans e su campione di urine quella di Enterococcus faecium. Dopo circa un mese dalla dimissione, un nuovo ricovero si rende necessario per l’aggravarsi dell’infezione del moncone dell’arto inferiore dx, che, come accertato a mezzo di esami colturali, mettono in evidenza la crescita di Enterobacter cloacae-complex, mentre la coltura su campione di feci dà come riscontro la presenza di Candida albicans e glabrata. I ricoveri dei mesi successivi evidenziano la presenza di condizioni cliniche sempre più scadenti, con deiscenza della ferita chirurgica del moncone e impossibilità alla deambulazione autonoma, dolore, diarrea per infezione da Clostridium difficile, stato anemico grave, progressiva insufficienza renale, documentata anche da periodi di ricovero presso l’U.O. di Lungodegenza che rende necessario il trattamento dialitico. Tale insufficienza renale sarà poi la causa del decesso del Sig. P. avvenuto per uremia terminale.

I consulenti Dignità al Malato hanno dimostrato come le condotte dei sanitari sono connotate da non documentata osservanza delle raccomandazioni e linee guida per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico, per cui il povero sig. P. ha patito infezione della ferita chirurgica da contaminazione esogena da batteri nosocomiali multiresistenti. Inoltre, nel decorso post-operatorio immediato, nonostante fosse stata evidenziata la formazione di una trombosi precoce di tronchi sub-aortici (femorale superficiale e poplitea), non fu subito effettuata la trombectomia e il successivo riposizionamento della protesi, attuato dopo più di un mese, determinando evoluzione tromboischemica dell’arto inferiore destro, esitata in amputazione di coscia, nei due mesi successivi.

 

Importo liquidato agli eredi pari a 654.000,00 euro.

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